giovedì 2 ottobre 2008

Il lavoro su misura

"Il lavoro è come un abito, per capire se è quello giusto ci devi stare dentro, lo devi indossare, possibilmente senza guardarti allo specchio..."

Il lavoro ideale è il sogno del genere umano. Forse è più corretto dire delle società opulente.
A volte questo desiderio prevale persino sul reale bisogno, sulla necessità di trovarne uno per sopravvivere. Succede infatti che si preferisce stare senza piuttosto che avere un lavoro che non piace, anche se non si è mai provato. Il lavoro è come un abito, per capire se è quello giusto si dovrebbe indossare, con la differenza che il tempo di prova è ben più lungo. Può non piacere all'inizio, ma solo dopo che ci si addentra e si sviluppano meglio le competenze. Verosimilmente può piacere all'inizio e solo successivamente ci si accorge che non è quello che si stava cercando. Se non si prova però è difficile capire se sia quello giusto o meno, perché, come per qualsiasi altra cosa, ciò che crediamo di vedere dall'esterno non rispecchia quasi mai ciò che realmente si vive all'interno. Quante volte ci si basa solo sulle apparenze e poi si resta disillusi?
Nell'immaginario collettivo il posto di lavoro più ambito è quello statale o quello regionale, perché risponde ai requisiti del lavoro ideale: posto sicuro, orari accettabili, buona retribuzione, malattia pagata, anche quando si è sani come pesci, possibilità di lavorare poco..... Certo, a chi non piacerebbe un posto di lavoro così? In questo caso molti rinuncerebbero persino ad un ambiente di lavoro armonioso e sereno, che invece dovrebbe essere la base per un lavorare e vivere bene.
Sono tanti gli elementi che concorrono a formare quello che è considerato un lavoro ideale ed è davvero difficile trovare un posto che li raccolga tutti, anche perché le parti in gioco son da sempre contrapposte e animate da un dibattito senza fine su scorrettezze, abusi e soprusi, ed ognuna cerca sempre di tirare più acqua al proprio mulino.
Nel lavoro ideale tutto dovrebbe essere equo: l'ambiente, la retribuzione, l'orario, il rapporto umano, la sicurezza......., ma ognuno di questi elementi ha un costo sempre più alto e insostenibile. Così sia le imprese che i privati, a volte solo per sopravvivenza, cercano sempre più spesso sotterfugi (lavoro in nero, retribuzioni basse, evasione fiscale) danneggiando in modo irreversibile un sistema già malato di per se e caricando di maggiori oneri chi lavora onestamente. Quello che non si accetta è che si sono assottigliati i margini di profitto a fronte di un impegno maggiore sia per le imprese che per i dipendenti.
Il lavoro occupa gran parte della nostra vita, svolto con passione la occupa totalmente, perché non esiste linea di confine tra vita privata e vita professionale. E' questo l'unico requisito indispensabile oggi per affrontare il mondo del lavoro. Prendersi cura di tutto ciò che stà attorno, materiale e immateriale; delle persone e dei loro sentimenti; preoccuparsi davvero, al punto di non riuscire a prender sonno la notte; ridere di gusto, ma anche piangere e disperarsi; impegnarsi e sudare senza risparmiarsi per arrivare ad un obiettivo, ed una volta raggiunto gustarselo appieno con quell'intensità conosciuta solo da coloro che vivono e lavorano con passione.
Sembra un paradosso, ma più il mercato richiede figure professionali, più si cerca di sfuggire da tutto ciò che significa professionalità: impegno, studio, sacrificio, applicazione, ricerca, miglioramento continuo e costante, responsabilità.........
Freud scriveva che "la grande maggioranza delle persone lavora soltanto per necessità e da questa naturale avversione umana al lavoro nascono i più difficili problemi sociali".
Credo avesse ragione, vista la situazione che si vive e si respira nel nostro paese. Il problema non è del singolo individuo, dei giovani e degli adulti che non trovano occupazione, ma della società intera. Oggi, più che mai, ci si ritrova ad affrontare il mondo del lavoro disorientati e spaesati. Si sente forte e pesante la mancanza di un educazione al lavoro, quella che permetterebbe di affrontare il problema dell'orientamento, dell'inserimento e della capacità di gestione. Manca la conoscenza, la consapevolezza, la determinazione, mancano i principi base che contraddistinguono la natura umana: come il "sapersi guadagnare il pane in un contesto competitivo". Oggi si vuole tutto senza far niente!
In questo bel quadretto i giovani rischiano di restare ancorati per sempre ad una domanda che non troverà mai risposta: "cosa farò da grande?" E sogni, i desideri invece che aiutare confondono, complicano la situazione, distolgono dalla ricerca concreta di un obiettivo realizzabile, alla propria portata. Portano ad una visione distorta della realtà ed un impatto negativo, demoralizzante e deprimente.
Mi sento sempre più lontano da questo mondo e da chi, come mio figlio, mi chiede "ma chi te lo fa fare?" senza voler sentire risposta.

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