martedì 13 ottobre 2015

Antonia e il Lentisco




















“Sarò anch'io come il lentischio,
che solo per gli umili che ne conoscono il segreto
nasconde nelle sue radici la potenza del fuoco,
e nel frutto selvatico l'olio per la lampada e per gli unguenti...” 
Grazia Deledda 

Antonia era solita svegliarsi di primo mattino, non conosceva indugio o traccheggiamento. L’orologio biologico funzionava meglio di qualsiasi altra sveglia moderna, indispensabile quanto, paradossalmente, fastidiosa e insistente. Perché, per quanto possa sembrare strano, il funzionamento e soprattutto l’efficienza del corpo umano è strettamente legato ai ritmi naturali del sole. Ogni giorno era lungo e faticoso, richiedeva determinazione e perseveranza, qualità sempre meno presenti nelle società opulente e occidentalizzate. Antonia s’incamminava presto per arrivare prima che il sole sorgesse, quando, ancora nascosto, irradiava di luce divina il paesaggio irrorato di rugiada, piccole stille d’acqua che sembravano disposte sull’erba, dolcemente e ordinatamente, da qualcuno che sgattaiolava velocemente vedendola arrivare. Non esiste aria da respirare così carica di vita e di energia, così intensa e appagante, quanto quella del primo mattino.

La sera, appena il sole tramontava, prima di coricarsi nella piccola e buia stanza dai muri spessi, dopo aver acceso la lampada a olio, Antonia raccoglieva ordinatamente, sopra uno scanno vicino all’uscio, tutto l’occorrente per il giorno successivo: due fette di pane Civraxiu avvolte in un panno; “su Mucadori” (il classico fazzoletto per coprire la testa, con le cocche da legare sotto il mento);  “su Seddazzu” (un setaccio che si poggiava sotto il petto dopo averlo appeso al collo tramite una cordicella); e un vecchio sacco di lino. Pochi e poveri alimenti per una giornata di lavoro che sarebbe terminata ben oltre il pomeriggio, una fetta di pane con un piccolo pezzo di formaggio per sostenere il mattino, l’altra per il pranzo, accompagnata con qualcosa raccolto durante il cammino: un frutto, una bacca, una radice o dell’erba selvatica. Pochi e poveri utensili per affrontare giornate lunghe e faticose, lo strumento principale era il corpo, strategicamente posizionato di fronte alla pianta scelta, genuflesso o con curvo sulla  schiena per lunghe e interminabili ore. Un lavoro di braccia e soprattutto di mani, tra le quali dovevano essere sfregati, con misurata energia, i ramoscelli carichi di drupe che cadevano direttamente dentro il setaccio. A quel tempo non ci si lamentava mai con nessuno, solo con se stessi. Rispetto a oggi c’era una maggiore sopportazione del dolore e della fatica, una sostanziale differenza nella concezione del proprio essere rapportato al contesto esistenziale. Con le abitudini di vita legate a un benessere crescente e spropositato, lamentarsi è diventato una costante, e il lamento si è trasformato in lagna, peculiarità intrinseca dell’avere qualcosa, più di quel che si è fatto per ottenerla. Antonia si limitava a un sussurrato “hoi hoi” solo nel momento in cui doveva riportare schiena e ginocchia in posizione eretta. Avrebbe riempito il sacco pazientemente, immersa nella macchia mediterranea, tra i suoi pensieri, tra odori e silenzi di quei luoghi d’infinita pace e serenità.

Per la raccolta “de su Modditzi” (il Lentisco) le donne del paese si muovevano sempre in gruppo, partivano presto e al ritorno si riunivano in casa dell’una o dell’altra, coinvolgendo i familiari, per la selezione e la trasformazione delle drupe. Con il lavoro di squadra si ottenevano migliori risultati: maggiore produttività e una sensazione della fatica più sopportabile. Anche la raccolta sembrava meno pesante, con gesta usitate raccoglievano, setacciavano e riempivano velocemente i sacchi, tra risate e schiamazzi che si perdevano tra la vegetazione mediterranea, che sembrava li assorbisse, cancellandoli dal mondo in pochi istanti. Si dilettavano soprattutto a sparlare su ogni singolo compaesano, loro comprese, quando capitava che, a turno, fossero assenti. Perché sembra che il tempo passi più veloce quando sparliamo degli altri, ancora di più quando è l’invidia a farci muovere le labbra copertamente e spalancare attentamente le orecchie. Denigrare è una droga, fintamente appagante e straordinariamente illusoria, che ci fa credere d’essere migliori, sino a che l’effetto svanisce. Un’effimera soluzione, facile e veloce, che permette di non cadere nell’oblio della frustrazione per non essere arrivati in ciò che si sarebbe voluto, in ciò in cui qualcun altro è riuscito, non cambia niente se per merito o fortuna. Nietzsche scriveva che “l’invidia nasce quando uno è desideroso, ma non ha prospettive”. Antonia desiderava e aveva ottenuto, pagando il prezzo della solitudine in un mondo soffocato da preconcetti e pregiudizi, un’esistenza di pace, rispetto e serenità. Amava la natura, incondizionatamente, sopra ogni altra cosa, s’immergeva nei suoi incantevoli paesaggi, perdendosi piacevolmente e allontanandosi sempre di più dall’insensibilità umana. La sua mente era pulita e trasparente come l’aria del primo mattino, libera e sgombra da tutti quei pensieri che attanagliano e rendono prigioniere le menti di chi ogni notte si addormenta e si risveglia con l’ossessione di dover trovare, a tutti i costi, i difetti degli altri.

Dalle compaesane aveva imparato a conoscere i meravigliosi segreti della pianta del Lentisco, rimanendone conquistata e affascinata sin dal primo momento. Da loro aveva appreso la tecnica della raccolta e la laboriosa lavorazione delle drupe, per trasformarle, tramite un articolato processo, in “Oll’e stincu” (Olio di Lentisco); le avevano insegnato a incidere la corteccia, dalla quale fuoriusciva lentamente una preziosa e profumata resina. Ogni parte della pianta aveva proprietà specifiche: con le foglie, usate anche per la concia delle pelli, si preparavano impacchi lenitivi e decongestionanti; i piccoli rametti erano usati come antiodorante e antitraspirante e, pestati con l’olio di oliva, come unguento per le ferite; la legna con il suo colore rosso venato per intarsi e lavori di falegnameria, e poi per il fuoco e per produrre un ottimo carbone. Dai suoi frutti, a seguito di ebollizione e spremitura, si estraeva l’olio usato a scopo alimentare e per l'illuminazione. Dalla resina, raccolta d’estate ed essiccata, si sfruttava il potere cicatrizzante e antisettico. Gli scarti delle lavorazioni diventavano mangime per gli animali.
Essere parte del gruppo procurava ad Antonia un senso profondo di condivisione, compagnia e sicurezza. Malgrado questo però, molto presto si allontanò, isolandosi da quel mondo così distante, così oscuro. Mal sopportava le lingue biforcute, affilate come pugnali, sempre pronte a colpire chiunque, in ogni momento. Lei stessa ne era consapevole vittima. Durante la raccolta, le compagne acceleravano i ritmi per lasciarla indietro e poter sparlare tranquillamente alle sue spalle. Basta poco per essere bersaglio di chi decide di passare il tempo a controllare la vita altrui dimenticandosi di vivere la propria; di chi assurge a ruolo di Dio, fortunatamente senza nessun altro potere di quello, già troppo pericoloso, dei propri occhi che giudicano; della propria lingua che condanna; della propria mente che desidera esporre il “colpevole” a pubblico ludibrio. Non è indispensabile commettere un grave errore, basta il modo di vestire, un’idea, l’aspetto fisico, lo stile di vita. Antonia ne era colpevole: perché non partecipava al rito quotidiano, ormai consolidato, dei sommari processi inquisitori e delle sentenze lapidarie; perché aveva scelto di vivere senza un uomo; perché parlava da sola. Questo era più che sufficiente perché fosse marchiata d’infamia, troppo diversa per meritare altra sorte.

Il Lentisco è una pianta umile e frugale, unica e straordinaria, con sorprendenti proprietà sensoriali, nutrizionali e salutistiche, e con la capacità di cambiare tutto ciò che ha attorno, di migliorare il terreno dove cresce. Rappresenta l’importanza e la difesa del territorio e della sua sostenibilità, il rispetto della biodiversità. E’ considerata oggi pioniera della vegetazione mediterranea, importantissima per il recupero e l'evoluzione di aree degradate. Ci sono voluti migliaia di anni per riconoscere le sue incredibili qualità, un periodo troppo lungo, che al tempo stesso può non essere sufficiente, per riconoscere le doti di un essere umano.

Antonia era una donna semplice, d’animo umile, dal carattere forte e sensibile. Intelligente e profonda, non accettava compromessi e sottomissioni. Aveva una capacità straordinaria di svolgere con amore e passione i lavori manuali: era palese il livore nel volto di chi, quando ancora si riunivano tutte assieme, la guardava perfezionare con incredibile facilità e semplicità le tecniche di lavorazione e conservazione dei prodotti raccolti. Antonia aveva pagato a duro costo la propria scelta di libertà, presa senza indugio e tentennamento perché, conoscendo la natura e rispettandone le sue indiscutibili regole, sapeva che ogni percorso, ogni idea, ogni progetto, ogni desiderio, ha un prezzo da pagare. E più è grande il proprio sogno, più distante la meta da raggiungere, più diventa tortuosa e pericolosa, impegnativa e sacrificante, la strada da percorrere. Antonia visse tutta la vita da sola, e da sola morì, in una giornata d’ottobre, con un ramoscello di Lentisco stretto tra le mani. Aveva legato in maniera indissolubile con la natura e della pianta del Lentisco portava addosso il  profumo, nello spirito la forza del suo legno e nell’animo la sorprendente potenza e il vigore di chi ha la capacità di sopravvivere nelle condizioni più estreme, non avendo paura di niente, nemmeno del fuoco.  

Mi chiedo se l’invidia, miserabile sentimento, sia davvero fondamentale per l’essere umano, per la sua sopravvivenza, per la sua evoluzione, giacché oggi più di ieri, con l’ausilio della tecnologia, siamo tutti pronti a colpire e screditare in modo più istantaneo, violento e mirato, chi non rispetta gli standard, chi non si uniforma al modo di vivere comune. Mi chiedo se tutto ciò si manifesti in funzione della convinzione che esista davvero qualcuno inferiore a noi.  


Cagliari, 13 Ottobre 2015
Massimo Mameli

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