giovedì 1 novembre 2007

Pizza & Vino

"Ti sei mai chiesto quanti acini d'uva ci sono in un sorso di vino o quanti chicchi di grano in un tozzo di pane? Conoscendo il cibo capisci il suo valore e ne scopri il vero sapore"

Ho un ricordo forte e piacevole appartenente alla mia infanzia, uno dei pochissimi indelebili: la colazione a casa di mio nonno paterno. Il ricordo visivo è sfuocato, enormemente falsato dal tempo, quello dei sensi è intenso quasi come se lo avessi appena vissuto. Ciò che hanno conservato le mie mani, le mie orecchie, il mio naso, la mia bocca, vale mille volte di più del ricordo degli occhi, loro infatti si limitano a raccontare poche cose: un tavolo in legno in mezzo ad un ampio loggiato (sa lolla), punto d'accesso per altre stanze buie e misteriose, dal soffitto di canne e travi. Da una parte, in un angolo, una montagna di mandorle. Dall'altra il caminetto, sempre acceso e scoppiettante. Un gioco di luci e ombre che si alternavano repentinamente per tutta la lunga stanza.

Se chiudo gli occhi, il ricordo si completa e si riempie di sensazioni: i muri freddi e irregolari, il piano del tavolo di legno ruvido e caldo. Odori e rumori, ogni stagione, anzi ogni mese aveva i suoi: di pioggia, di terra, di sole, di asparago, di olio, di mosto, di grano, d'elicriso... in bocca sento ancora il sapore della colazione. Il tavolo era apparecchiato in modo semplice, essenziale, un tagliere e un coltello. Gli alimenti erano poveri e sostanziosi: Pane, Pecorino, Lardo e l'immancabile bottiglione di Vino. Mio nonno sapeva già che il momento migliore per trasformare il cibo in energia era il primo mattino. Vino e Pane erano beni preziosi, frutto di fatica e sudore, e andavano conservati con cura e consumati con parsimonia, nei modi, nei tempi e nella quantità giusti. I suoi gesti sembravano rozzi, ma in realtà erano semplici, concreti, senza fronzoli: il primo lo rivolgeva alla mescita del Vino nel bicchiere, il mio a metà e poi il suo, pieno quasi all'orlo. Prendeva il grosso Pane, dalla crosta dura e scura sul fondo, e se lo poggiava all'altezza dello sterno tenendolo premuto contro di se con una mano, mentre con l'altra tagliava una fetta, facendo scivolare la lama del coltello verso il petto. Poi il Pecorino e per ultimo il Lardo oppure la Salsiccia. Dietro ogni piccolo gesto si nascondeva un rito e tutto sembrava avere un senso profondo, radicato, tramandato di padre in figlio. Un retaggio che ai miei occhi, appariva senza fine.

La nostra generazione segna una frattura storica, apparentemente definitiva, potenzialmente irreversibile. Dietro di noi, distante solo poche decine d'anni, la linea di confine tra l'uomo legato alla terra e l'uomo che usa la terra. Ci siamo allontanati dalle cose semplici, abbagliati da un modello di vita abbiente, ma palesemente insostenibile. Ci siamo allontanati non solo dalla terra, ma anche dalla fatica, dal lavoro e il gusto delle cose ha un altro senso, un altro valore: meno intenso, meno profondo, meno importante. In questo sistema, ormai collaudato, qualcuno manipola le nostre menti spingendoci a farci credere quello che vuole e farci comprare quello di cui non abbiamo realmente bisogno. Compriamo e mangiamo più per abitudine che per necessità. Una corsa folle verso un consumo sempre più sfrenato, verso un futuro sempre più iniquo e distruttivo, dove ciò che acquistiamo è spesso prodotto sfruttando altri esseri umani e consumando, inquinando, distruggendo il pianeta. Godiamoci questa vita sicura e agiata sinché possiamo ancora permettercela, indignandoci, tra un acquisto e un gossip, del fatto che a poche centinaia di chilometri da noi interi popoli muoiono di fame e di guerra.

Il consumismo ci fornisce innumerevoli informazioni (troppo spesso ingannevoli e fuorvianti) rendendoci ignoranti verso il fondamento della nostra esistenza: l'alimentazione. Ci fa credere d'essere ampiamente informati, mentre, in modo sistematico, ci allontana dai cibi genuini, naturali. Sempre meno si conosce il sapore di un alimento prodotto con le proprie mani, di un frutto raccolto da un'albero, di un ortaggio strappato al terreno. 

Non credo che mio nonno abbia mai ragionato sul fatto che l'abbinamento Vino, Pane e Formaggio fosse quello giusto, giacché l'alternativa era l'acqua delle fonti montane. Resto comunque convinto che davanti a una buona Pizza (altro non è che Pane e Formaggio), anche avendo l’assortimento di bevande attuale, avrebbe scelto sempre e comunque un buon bicchiere di vino, possibilmente fatto in casa.
Per il suo bene e, indissolubilmente, per il bene del mondo.

Nessun commento:

Antonia e il Lentisco

“Sarò anch'io come il lentischio, che solo per gli umili che ne conoscono il segreto nasconde nelle su...