venerdì 1 agosto 2008

Il prezzo dell'entusiasmo

"L'entusiasmo è un vulcano sul cui cratere non cresce mai l'erba della esitazione"
Gibran

In risposta a ciò che ho scritto nella newsletter precedente sono arrivate decine di mail. Tra queste mi ha colpito in modo particolare quella di due ragazze che stanno per vedere realizzato il loro sogno imprenditoriale. E' una lunga mail, dove mi spiegano di aver fatto questa scelta perché per troppo tempo l'unico impiego che sono riuscite a trovare era sottopagato e precario. Mi contestano il fatto di aver descritto in modo negativo il lavoro imprenditoriale e di aver minato la stabilità acquisita in un lungo periodo di preparazione del loro progetto. Mi accusano di aver smorzato il loro entusiasmo e di provare ora un profondo senso di insicurezza e paura. Chiaramente ho risposto direttamente alla loro mail, ma ho ancora qualcosa da aggiungere. Lo farò qua, anche per coloro a cui non ho avuto il tempo di rispondere direttamente. L'insicurezza e la paura sono due elementi fondamentali nel lavoro imprenditoriale, il segreto stà nell'imparare a conviverci, a gestirli a proprio favore. Sono i sentimenti che ci proteggono, che ci aiutano ad evitare di commettere errori troppo grandi, di sbattere il muso troppo forte. Sono il freno dell'entusiasmo, sempre presente, purtroppo a volte il solo presente, negli aspiranti imprenditori. Un buon imprenditore è colui che sa gestire le emozioni e gli umori, che vive la realizzazione e la gestione della sua attività con consapevole passione, senza lasciarsi trasportare da niente e nessuno. Purtroppo pochi nascono imprenditori (io per esempio non sono nato imprenditore) per gli altri ci vorrebbe una formazione completa che, ahimè, non è alla portata di tutti. Chiunque può fare l'imprenditore, è una scelta di facile attuazione. Da giovane pensavo di non esser tagliato per la vita in società, la vivevo con disagio e sofferenza. Amavo stare in solitudine, mi bastava avere una matita, un pezzo di carta e la mia chitarra. Sognavo di passare la mia vita in paesaggi ameni, tra la campagna e la montagna o vicino al mare, sedermi tutte le sere su una pietra ad aspettare il tramonto per osservare, tra il silenzio naturale, le sue infinite e suggestive combinazioni di colori. Appena potevo "scappavo", per stare, anche solo un'ora, a contatto con la natura. Partivo dalla città e non vedevo l'ora di raggiungere la destinazione, trattenendo quasi il respiro per gustarmi appieno, con la massima intensità, l'aria purificatrice. Mi accontentavo di poco: lunghe passeggiate in riva al mare o in mezzo ai boschi al solo rumore del mio respiro, dei miei passi sulle foglie secche e dello sbatter d'ali d'uccelli spaventati. Adoravo raccogliere erbe, fiori e frutti commestibili, cercare anfratti saturi d'umidità e profumi intensi. Mi piaceva poi sdraiarmi esausto al suolo, immobile e con gli occhi chiusi, per sentire ogni più piccolo suono percettibile di ciò che mi circondava, riuscendo a fondermi totalmente in esso. In realtà l'irresistibile richiamo della natura, anche se reale, era piuttosto una forte repulsione verso un sistema, consumistico e superficiale, che non condividevo e disprezzavo, ma ancor di più verso le difficoltà, il sacrificio e il carico di responsabilità troppo elevato che esso comportava. Era il mio modo per evitare responsabilità, per non affrontare la realtà, per svincolarmi da regole e imposizioni. Quando ho capito che non possedevo abilità tali da riuscire ad eludere totalmente doveri ed incombenze, mi sono buttato sulla prima cosa facile da fare, su quello che stupidamente credevo potesse esimermi da oneri e fatiche, l'isola felice dove nessuno poteva dirmi quello che avrei dovuto fare: sono diventato un imprenditore. Non c'è voluto molto per capire che il mondo imprenditoriale non era la tanto agognata isola felice, non era il luogo che credevo, dove approdare per rifuggire dalle difficoltà e responsabilità della vita sociale. E' chiaro che la motivazione che spinge una persona a mettersi in proprio non è sempre uguale e non sempre è dettata da una credenza errata o da una visione superficiale delle cose. Le motivazioni che 25 anni fa mi hanno spinto a fare questo lavoro erano le più sbagliate di questo mondo. Eppure, dopo aver fatto tutti gli errori possibili ed immaginabili, dopo aver toccato il fondo per più di una volta mi ritrovo ancora in piedi a portare avanti le mie attività, pagando errori e avversità. Il problema attuale è che il mercato non permette più di sbagliare, si sono ridotti gli spazi e i margini d'errore, il valore del lavoro è diminuito notevolmente e la concezione che i giovani hanno di esso non prevede difficoltà e sacrificio.
Io amo il mio lavoro, richiede sacrifici e rinunce, ma lo faccio sempre con grande entusiasmo. Non mi pento assolutamente delle scelte sbagliate che sino ad oggi ho fatto. Nel momento in cui le ho fatte evidentemente non ero in grado di fare diversamente. Con la mail precedente non volevo lanciare nessun monito, tantomeno spaventare qualcuno, ho solo descritto come vive chiunque svolga il proprio lavoro con passione e responsabilità. Ho usato una metafora che calzava perfettamente, il racconto della "spada di Damocle" rappresenta l'imprenditore visto erroneamente come colui che vive nell'agiatezza e nella spensieratezza, come esempio invidiato e da emulare a tutti i costi.
Che ognuno porti avanti e coltivi i suoi sogni, io ho il mio, quello di filosofare tra il silenzio della natura. E' ancora un sogno irrealizzabile visto che sono qua tutti i giorni ad arrabattare tra le quattro mura della mia attività. Un sogno a cui aspiro ancora, sempre con lo stesso spirito e fervore, ma con una differente concezione.

Antonia e il Lentisco

“Sarò anch'io come il lentischio, che solo per gli umili che ne conoscono il segreto nasconde nelle su...