che solo per gli umili che ne conoscono
il segreto
nasconde nelle sue radici la potenza del
fuoco,
e nel frutto selvatico l'olio per la
lampada e per gli unguenti...”
Grazia Deledda
Grazia Deledda
Antonia era
solita svegliarsi di primo mattino, non conosceva indugio o traccheggiamento.
L’orologio biologico funzionava meglio di qualsiasi altra sveglia moderna,
indispensabile quanto, paradossalmente, fastidiosa e insistente. Perché, per
quanto possa sembrare strano, il funzionamento e soprattutto l’efficienza del
corpo umano è strettamente legato ai ritmi naturali del sole. Ogni giorno era
lungo e faticoso, richiedeva determinazione e perseveranza, qualità sempre meno
presenti nelle società opulente e occidentalizzate. Antonia s’incamminava
presto per arrivare prima che il sole sorgesse, quando, ancora nascosto,
irradiava di luce divina il paesaggio irrorato di rugiada, piccole stille
d’acqua che sembravano disposte sull’erba, dolcemente e ordinatamente, da
qualcuno che sgattaiolava velocemente vedendola arrivare. Non esiste aria da
respirare così carica di vita e di energia, così intensa e appagante, quanto
quella del primo mattino.
La sera,
appena il sole tramontava, prima di coricarsi nella piccola e buia stanza dai
muri spessi, dopo aver acceso la lampada a olio, Antonia raccoglieva
ordinatamente, sopra uno scanno vicino all’uscio, tutto l’occorrente per il
giorno successivo: due fette di pane Civraxiu avvolte in un panno; “su Mucadori” (il classico fazzoletto
per coprire la testa, con le cocche da legare sotto il mento); “su Seddazzu” (un setaccio che si poggiava sotto il petto dopo averlo appeso al
collo tramite una cordicella); e un vecchio sacco di lino. Pochi e poveri
alimenti per una giornata di lavoro che sarebbe terminata ben oltre il
pomeriggio, una fetta di pane con un piccolo pezzo di formaggio per sostenere
il mattino, l’altra per il pranzo, accompagnata con qualcosa raccolto durante
il cammino: un frutto, una bacca, una radice o dell’erba selvatica. Pochi e
poveri utensili per affrontare giornate lunghe e faticose, lo strumento
principale era il corpo, strategicamente posizionato di fronte alla pianta
scelta, genuflesso o con curvo sulla schiena per lunghe e interminabili ore. Un lavoro di braccia
e soprattutto di mani, tra le quali dovevano essere sfregati, con misurata
energia, i ramoscelli carichi di drupe che cadevano direttamente dentro il
setaccio. A quel tempo non ci si lamentava mai con nessuno, solo con se stessi.
Rispetto a oggi c’era una maggiore sopportazione del dolore e della fatica, una
sostanziale differenza nella concezione del proprio essere rapportato al
contesto esistenziale. Con le abitudini di vita legate a un benessere crescente
e spropositato, lamentarsi è diventato una costante, e il lamento si è
trasformato in lagna, peculiarità intrinseca dell’avere qualcosa, più di quel
che si è fatto per ottenerla. Antonia si limitava a un sussurrato “hoi hoi”
solo nel momento in cui doveva riportare schiena e ginocchia in posizione
eretta. Avrebbe riempito il sacco pazientemente, immersa nella macchia
mediterranea, tra i suoi pensieri, tra odori e silenzi di quei luoghi
d’infinita pace e serenità.
Per la
raccolta “de su Modditzi” (il Lentisco) le donne del paese si muovevano sempre in
gruppo, partivano presto e al ritorno si riunivano in casa dell’una o dell’altra,
coinvolgendo i familiari, per la selezione e la trasformazione delle drupe. Con
il lavoro di squadra si ottenevano migliori risultati: maggiore produttività e
una sensazione della fatica più sopportabile. Anche la raccolta sembrava meno
pesante, con gesta usitate raccoglievano, setacciavano e riempivano velocemente
i sacchi, tra risate e schiamazzi che si perdevano tra la vegetazione mediterranea,
che sembrava li assorbisse, cancellandoli dal mondo in pochi istanti. Si
dilettavano soprattutto a sparlare su ogni singolo compaesano, loro comprese,
quando capitava che, a turno, fossero assenti. Perché sembra che il tempo passi
più veloce quando sparliamo degli altri, ancora di più quando è l’invidia a
farci muovere le labbra copertamente e spalancare attentamente le orecchie.
Denigrare è una droga, fintamente appagante e straordinariamente illusoria, che
ci fa credere d’essere migliori, sino a che l’effetto svanisce. Un’effimera
soluzione, facile e veloce, che permette di non cadere nell’oblio della
frustrazione per non essere arrivati in ciò che si sarebbe voluto, in ciò in
cui qualcun altro è riuscito, non cambia niente se per merito o fortuna. Nietzsche scriveva che “l’invidia nasce
quando uno è desideroso, ma non ha prospettive”. Antonia desiderava e aveva
ottenuto, pagando il prezzo della solitudine in un mondo soffocato da
preconcetti e pregiudizi, un’esistenza di pace, rispetto e serenità. Amava la
natura, incondizionatamente, sopra ogni altra cosa, s’immergeva nei suoi
incantevoli paesaggi, perdendosi piacevolmente e allontanandosi sempre di più
dall’insensibilità umana. La sua mente era pulita e trasparente come l’aria del
primo mattino, libera e sgombra da tutti quei pensieri che attanagliano e rendono
prigioniere le menti di chi ogni notte si addormenta e si risveglia con
l’ossessione di dover trovare, a tutti i costi, i difetti degli altri.
Dalle
compaesane aveva imparato a conoscere i meravigliosi segreti della pianta del
Lentisco, rimanendone conquistata e affascinata sin dal primo momento. Da loro
aveva appreso la tecnica della raccolta e la laboriosa lavorazione delle drupe,
per trasformarle, tramite un articolato processo, in “Oll’e stincu” (Olio di
Lentisco); le avevano insegnato a incidere la corteccia, dalla quale fuoriusciva
lentamente una preziosa e profumata resina. Ogni parte della pianta aveva proprietà specifiche: con le foglie, usate anche per la concia delle
pelli, si preparavano impacchi lenitivi e decongestionanti;
i piccoli rametti erano usati come antiodorante e
antitraspirante e, pestati con l’olio di oliva, come unguento per le ferite; la legna con il suo colore rosso venato per intarsi e lavori
di falegnameria, e poi per il fuoco e per produrre un ottimo carbone.
Dai suoi frutti, a seguito di ebollizione e spremitura, si estraeva l’olio
usato a scopo alimentare e per l'illuminazione. Dalla
resina, raccolta d’estate ed essiccata, si sfruttava il potere cicatrizzante e antisettico. Gli scarti delle lavorazioni diventavano mangime per
gli animali.
Essere
parte del gruppo procurava ad Antonia un senso profondo di condivisione,
compagnia e sicurezza. Malgrado questo però, molto presto si allontanò,
isolandosi da quel mondo così distante, così oscuro. Mal sopportava le lingue
biforcute, affilate come pugnali, sempre pronte a colpire chiunque, in ogni
momento. Lei stessa ne era consapevole vittima. Durante la raccolta, le
compagne acceleravano i ritmi per lasciarla indietro e poter sparlare
tranquillamente alle sue spalle. Basta poco per essere bersaglio di chi decide
di passare il tempo a controllare la vita altrui dimenticandosi di vivere la
propria; di chi assurge a ruolo di Dio, fortunatamente senza nessun altro
potere di quello, già troppo pericoloso, dei propri occhi che giudicano; della
propria lingua che condanna; della propria mente che desidera esporre il
“colpevole” a pubblico ludibrio. Non è indispensabile commettere un grave
errore, basta il modo di vestire, un’idea, l’aspetto fisico, lo stile di vita. Antonia
ne era colpevole: perché non partecipava al rito quotidiano, ormai consolidato,
dei sommari processi inquisitori e delle sentenze lapidarie; perché aveva
scelto di vivere senza un uomo; perché parlava da sola. Questo era più che
sufficiente perché fosse marchiata d’infamia, troppo diversa per meritare altra
sorte.
Il Lentisco
è una pianta umile e frugale, unica e straordinaria, con sorprendenti proprietà sensoriali, nutrizionali e
salutistiche, e con la
capacità di cambiare tutto ciò che ha attorno, di migliorare il terreno dove
cresce. Rappresenta l’importanza
e la difesa del territorio e della sua sostenibilità, il rispetto della biodiversità.
E’ considerata oggi pioniera della vegetazione mediterranea, importantissima
per il recupero e l'evoluzione di aree degradate. Ci sono voluti migliaia di
anni per riconoscere le sue incredibili qualità, un periodo troppo lungo, che
al tempo stesso può non essere sufficiente, per riconoscere le doti di un
essere umano.
Antonia era
una donna semplice, d’animo umile, dal carattere forte e sensibile. Intelligente
e profonda, non accettava compromessi e sottomissioni. Aveva una capacità
straordinaria di svolgere con amore e passione i lavori manuali: era palese il
livore nel volto di chi, quando ancora si riunivano tutte assieme, la guardava
perfezionare con incredibile facilità e semplicità le tecniche di lavorazione e
conservazione dei prodotti raccolti. Antonia aveva pagato a duro costo la
propria scelta di libertà, presa senza indugio e tentennamento perché, conoscendo
la natura e rispettandone le sue indiscutibili regole, sapeva che ogni percorso,
ogni idea, ogni progetto, ogni desiderio, ha un prezzo da pagare. E più è
grande il proprio sogno, più distante la meta da raggiungere, più diventa
tortuosa e pericolosa, impegnativa e sacrificante, la strada da percorrere. Antonia
visse tutta la vita da sola, e da sola morì, in una giornata d’ottobre, con un
ramoscello di Lentisco stretto tra le mani. Aveva legato in maniera indissolubile
con la natura e della pianta del Lentisco portava addosso il profumo, nello spirito la forza del suo
legno e nell’animo la sorprendente potenza e il vigore di chi ha la
capacità di sopravvivere nelle condizioni più estreme, non avendo paura di
niente, nemmeno del fuoco.
Mi chiedo
se l’invidia, miserabile sentimento, sia davvero fondamentale per l’essere
umano, per la sua sopravvivenza, per la sua evoluzione, giacché oggi più di
ieri, con l’ausilio della tecnologia, siamo tutti pronti a colpire e screditare
in modo più istantaneo, violento e mirato, chi non rispetta gli standard, chi
non si uniforma al modo di vivere comune. Mi chiedo se tutto ciò si manifesti
in funzione della convinzione che esista davvero qualcuno inferiore a noi.
Cagliari, 13 Ottobre 2015
Massimo Mameli